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Qualcosa che mi scaldi il cuore
poetry [ ]
_Racconti di Natale_

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by [jacquelinemiu ]

2009-12-08  | [This text should be read in italiano]    | 



Tirava un vento gelido e dal nevischio uscivano le poche sagome ancora sulla strada; già perché la gente camminava in mezzo alla strada perché il marciapiedi era diventato un muro di ghiaccio invalicabile. Stava pensando alle vecchie canzoni di Natale, e sottovoce provai a cantarne una, temendo di essere udito o forse deriso da qualche passante.
Come ogni inverno aspettava la neve, perché il bambino dentro aveva bisogno dei suoi sogni di cristallo, e di tutti i riflessi azzurri in cui ipnotizzare gli occhi.
“Venite amici, qui c’è tutto quello che vi serve per un Natale Felice! Se non volete entrare nei Grandi Magazzini almeno aiutate i poveri!”, un Babbo Natale faceva suonare il suo campanello sul marciapiedi, attirando l’attenzione dei pedoni e possibilmente di tutti quelli al volente fermi al semaforo.
“Qui tutto costa poco, anche la felicità!”
Si, pensavo io, magari avesse così buon prezzo la felicità,e con quel pensiero distorto finì col inciampare in un ostacolo, mi sdebitai con la cosa tirando un forte calcio.
“Mhh.”
Una voce fiacca lasciò una traccia nel vento, come se avesse voluto mandare una sberla. Cercai di capire cosa avevo colpito. Un involucro scuro su cui la neve aveva già steso come un velo di pace, la sua nemesi.
Allora provai a toccarlo con una mano, un leggero scossone tanto per vedere cosa o chi sarebbe sgusciato fuori dal bunker del vecchio cappotto usato a timido rifugio.
“Mhmmm.”, un mormorio di dolore appena percettibile nel frastuono della campanella che il finto Babbo Natale agitava con decisione.
“Scusa, non ti ho visto e probabilmente ti ho fatto male. Per favore mi creda, non volevo essere così barbaro, mi scuso nuovamente.”
Dal rifugio nemmeno un cenno di riposta. Stavo lì mentre il vento continua a colpirmi il viso, lasciando la mente libera da congetture futili e poco fantasiose, ma dal rifugio vidi spuntare una mano arrossata, all’ultimo stadio di intirizzimento, e la cosa che mi fece resuscitare il cuore da quella amnesia prenatalizia, fu sentirmi addosso due occhi febbrili puntarsi addosso alla mia persona. Era un bambino poco più che undicenne forse, molto provato dal freddo e dalla fame.
“Mi scusi.”, mi disse cercando di alzarsi dall’angolino felice, dove aveva provato a cercare riparo dalla tempesta di neve. Indossava un lungo e logoro cappotto nero, tre o forse quattro taglie più grandi di lui, che non la sciavano emergere le estremità del suo corpo all’esterno. Il capello invece aveva più buchi che tessuto, tanto che lasciava fuori le orecchie, forse prese dal gelo più di tutto il resto.
“Piccolo scusami, non volevo, pensavo anzi non pesavo affatto, credevo di aver urtato un masso di ghiaccio.”
Il ragazzo non disse nulla, mi guardò senza lasciar rappellare alcun genere di sentimento, nemmeno un po’ di astio per essere stato preso a calci da un uomo grande e grosso, che non aveva sicuramente alcun genere di problemi, che si poteva qualificare in qualche modo vitali.
Il suo era uno sguardo limpido e non inquisitorio, forse era tanto orgoglioso da compiacersi del suo stato di giovane vagabondo, comunque non mi diede retta e girò i tacchi cercando di farsi strada contro vento, forse alla ricerca di un nuovo riparo, e di un nuovo cretino che lo calpesti.
“Aspetta!” gridai immaginando per lui una sorta catastrofica e portata al peggiore fine.
“Senti fermati, voglio sdebitarmi!”, che Diavolo era Natale, dovevo in qualche modo sistemare i conti con i miei peccati, e questo era il momento migliore per farlo. Il ragazzo fingeva o no, ma continuava per la sua strada come se quella offerta non gli fosse di grande conforto.
Cominciai a corrergli dietro, usando le scarpe come pattini, e infilando la mano nella tasca interna del paletot alla ricerca del portafogli; presi una decina banconote, erano sempre poche per una vera educazione, ma sicuramente avrebbero tenuto il ragazzino al caldo per un po’.
Lo raggiunsi e gli misi in mano i soldi, poi con un sorriso mi congedai augurandogli un Buon Natale. Se tutto fosse andato in un modo normale, il ragazzo sarebbe andato nel primo ghetto a vendere tutto ciò che aveva per una fumatina; certe cose nemmeno ad una età così facile sfuggono, questa è la legge della strada.
Decisi di andare via e di seguirlo con l’occhio, neve permettendo e vento, ma invece di proseguire sulla strada in mezzo alle auto che avanzavano a passo d’uomo, lui fece un deciso dietrofront, puntando nella direzione del finto Babbo Natale.
Se andava a scipparlo, sicuramente non volevo essere testimone del fatto, insomma sono un uomo di un certo tipo che non tollera la violenza anche se questa arriva da una giovane preda ferita per lunghi anni da una società abietta e cieca.
“Aspetta, non farlo.!”, ma la mia voce non aveva la carica giusta e rimase solo fiato caldo che scaldava l’aria gelida prima di entrare con prepotenza nel naso e po8i nei polmoni, meno male loro ben coperti.
Quel cappotto che si muoveva da solo, come un fantasma senza una identità, con una piccola testa su cui la neve ardiva cementarsi, mi lasciava un nodo in gola, insomma non avrei mai voluto vedere un ragazzo che poteva essere mio figlio, vivere in strada in pieno inverno; dove cavolo era l’energia e la compassione della gente mi domandavo.
Il ragazzino raggiunse la sua meta. Chiusi gli occhi. Se qualcuno gli avesse fatto del male, allora si, che avrei risposto, lo avrei difeso, perché in fondo lui era la somma di tutti i nostri errori su questo pianeta.
La piccola mano arrivò al cesto del Babbo e vidi una cosa che mi fece piangere; lo vidi gettare tutte le banconote ad una, ad una, nel cesto destinato ai poveri.
“Che Dio ti benedica figliolo!”, gridò il ciccione come se avesse vinto alla lotteria.
Il ragazzo non si fermò a raccogliere le lodi ed il ringraziamento, ma s’incammino verso il capo della strada, direzione del ghetto.
Volevo seguirlo ma avevo paura, paura di adottare la sua causa, paura di difenderlo dai mali della vita, dalle poche certezze e dagli infiniti ostacoli. Lo guardai con quanto coraggio trascinava quella capanna di stoffa, senza gridare per il freddo e per la mancanza di una famiglia.
Quel Natale al ghetto arrivò un’offerta anonima di un pranzo sicuro per tutti gli abitanti, bambini e adulti. Una segnalazione misteriosa mandò fuori gli assistenti sociali, con la speranza di raccogliere i più piccoli e sperare di poter dare loro una famiglia.
Avevo capito ciò che mi disse senza nemmeno una parola quel ragazzo, non darmi nulla che non sia qualcosa che mi scaldi il cuore,e questo m’è rimasto come insegnamento di vita per i miei figli.

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