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Valchirie e Walhalla
prose [ ]

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by [gNOMMIO ]

2008-11-10  | [This text should be read in italiano]    | 



Valchirie e Walhalla

G. è un’amica mia che, in un’occasione, mi ebbe a dire come la scrittura, il poetare, sia mezzo per fascinare, per farsi amare, per sentirsi accetti e graditi.
Certo che è così, è chiaro, come, del resto, qualsiasi altra industria umana ha il medesimo scopo, è compiuta per essere d’utilità agli altri, per poter essere d’aiuto, per fare cose che siano di fruizione a più persone, per partecipare allo scambio di prebende d’affetti e passioni; se ho capito bene, è così. In uno per essere amati.
La poesia, forse, siccome già carico emozionale, è un mezzo, può darsi, più potente nella ricerca di cui poc’anzi, forse questo è il concetto che m’espresse G., credo.
Ero in Salento, per l’appunto per un reading, sollecitato dall’amico SG, che già era là per un dottorato alla facoltà di lettere del capoluogo.
La mia performance era inserita in un happening nel quale erano compresi anche musicisti, poi scultori e ineguali altri artisti, il posto era un gigantesco antico palazzone nella campagna presso Lecce, un bel posto.
Erano state predisposte, naturalmente, libagioni adeguate alla presunta affluenza: con rosso locale, sicuramente, e, s’intuisce, frisedde e pomodori, frisedde e affettati (sulla presenza reale della seconda declinazione non giurerei, potrebbe essere un ibridismo, una contaminazione con reminescenze di simili ma allocate in Toscana).
Con SG ci conosciamo da un po’, quindi ritenne opportuno, forse a ragione, dare disposizioni precise ai mescitori di controllare il mio consumo di alcolici, cioè di somministrarmene fino ad una quantità X poi basta, almeno fino all’ora della lettura poi sarà quel che sarà…
Ogni tanto, però, la sosia di Skin degli Skunk Anansie che sta al bar, riuscì ad eludere l’embargo, inoltre, come spesso accade in queste situazioni, i tempi d’attesa si dilatarono molto, perciò…
Ero lì intento un po’ a rileggere i testi, un po’ a cazzeggiare nella saletta arredata con poltrone e sofà, tipo riciclati, da lì c’era anche un discreto panorama sull’ingresso, che giunse motomunita splendida stangona con giubbotto di pelle e tatuaggi, -Però…-, pensai.
Si palesò contemporaneamente al suonatore che ebbi poi come accompagnamento durante la performance; non ricordo il suo nome, era un fisarmonicista albanese con cui ci accordammo succintamente, con difficoltà linguistiche non insormontabili, -A dopo.- -A dopo.-
Una scappatina ennesima dalle parti di Skin, con cui faccio due chiacchiere e un goccetto, poi me ne torno sul sofà di cui prima.
Ero lì intento a nulla fare che si approssimò l’amazzone, -Ciao, sono Uela…-, -Cazzo di nome…-, è la contrazione di Emanuela; in Salento fanno così: con la parte finale del nome, da noi si fa con la prima parte, quindi mi risulta strano, però…forse è più simpatico.
-Sei tu il poeta?- È una domanda che sempre mi genera conflitti, che non riesco a dare una risposta senza che me ne scaturiscano sensi di colpa.
-L’ho sempre saputo che chi ha scritto quelle poesie era bellissimo…-
Oddio, chissà perché poi? Probabilmente ha ragione G.
-Oh, Uela, sono il tuo prigioniero e per tutta l’esistenza e di più.-
Mannaggia, mi chiamarono, cominciò il reading. Reading che funzionò. Fui contento, poi ci fu il rituale dello scambio di opinioni, di congratulazioni, quella cosa delle prebende, eccetera.
Frattanto era scaduto pure il termine dell’interdizione dall’uso di alcolici, approfittai.
Quando Uela si palesò ancora ero proprio bello cotto.
Lei parla, non la sento bene, sarà forse la musica alta però una cosa l’ho capita: è un’amazzone guerriera! Quelle che fan da scorta, ai predoni normanni morti in gloria, per le porte di un paradiso di fiumi di birra e donne soffici e zuffe furibonde.
Dice: -Sono qui per portarti nell’oltretomba dei poeti eroici, morti sul campo…-
- Allora morirò!- Corro al bar da campo e faccio un giro, due, tre ennesimi di nettare.
- Ora, ora sono pronto per l’ultraterreno!- Squillo ritornando gioioso e coperto di gloria, ne ho un po’ anche sulla maglietta.
Non c’è più, ma come? Prima…
- Gli è toccato andarsene… -
Cazzo, era morto Ginsberg!

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